Augusto Ciuffetti (docente di Storia
economica presso l’Università Politecnica delle Marche), dopo il terremoto che
tra il 2016 e il 2017 ha colpito l’Italia centrale, ha tenuto una serie di
incontri in varie località dell’Appennino maceratese, da cui è nato un libro,
dall’emblematico titolo «Appennino».
Sebbene le riflessioni di
Ciuffetti siano pertinenti essenzialmente alle zone centrali della dorsale
appenninica, a mio avviso sono estensibili anche alla parte meridionale, per
una serie di validi motivi. Prima di tutto, uno studio così accurato manca per
l’Appennino campano in generale e per il Matese in particolare, quindi il libro
può essere utile, certamente, come modello da seguire, in secondo luogo varie
sono le analogie tra le montagne dell’Italia centrale e le nostre zone interne.
Mulini
e gualchiere
Sviluppando una narrazione di
lungo periodo, si nota che «nel secolo VIII, nell’Europa occidentale si apre la
fase della definitiva riscoperta del mulino, prima idraulico e poi eolico. In
questo contesto, non è privo di significati che una delle prime testimonianze
della presenza di mulini per la follatura della lana o gualchiere, risalente al
962, provenga, insieme ad altri territori, anche dall’Appennino centrale, nello
specifico dall’Abruzzo. Non si tratta di un’innovazione di poco conto, perché
il meccanismo della gualchiera permette di estendere, per la prima volta, l’uso
della ruota idraulica a processi produttivi diversi dalla macinazione del
frumento. Dall’Appennino abruzzese la gualchiera, primo vero strumento di
lavoro generato in Occidente, si diffonde in ogni luogo d’Europa (p. 50)».
Tutto ci lascia supporre che Piedimonte, enormemente ricca di corsi d’acqua,
nel Medioevo, nonostante la carenza documentaria, seguisse lo stesso modo di
vivere abruzzese, sia pure in scala ridotta. È facilmente intuibile che le
gualchiere fossero attive in Piedimonte ben prima del XVII secolo, di quando
cioè il duca Alfonso II Gaetani di Laurenzana diede un notevole impulso all’economia
locale e capisse l’interesse strategico delle vie di comunicazione. Oltre
all’industria, alla pastorizia, all’economia boschiva, si sottolinea la «funzione
dei beni collettivi e degli usi civici come strumenti di protezione sociale (p.
66)».
Storia,
e cultura, orale
Si fa bene inoltre a raccogliere
la tradizione della cultura orale, in quanto vettore non solo di comunicazione ma
di memoria condivisa. Non va obliterato infatti che la dimensione favolistica
appartiene antropologicamente alla montagna, essendone uno dei tratti
connaturanti. Anche il policentrismo, cioè un sistema geografico in cui
coesistono più centri, è un’altra tipicità propriamente appenninica. Come si
può osservare, i tratti salienti in comune tra centro e sud d’Italia sono
numerosi. Allargando il campo d’indagine alla storia sociale, apprendiamo che «per
arginare il banditismo, nel 1569, papa Pio V istituisce la Prefettura della
montagna, comprendente i territori di Visso, Norcia, Cascia e Cerreto. Il
banditismo, che nell’Italia centrale non produce le profonde ferite che segnano
nel corso dell’Ottocento il Meridione, diventa, così, un altro carattere della
civiltà appenninica, nel momento in cui esso si identifica con l’immagine,
sempre più diffusa nell’opinione pubblica, di popolazioni montane indomite e
selvagge (p. 66)».
La
terra trema
Nel quarto capitolo, “La terra trema”,
si legge che: «uno dei caratteri originali della dorsale appenninica [..] è
senza dubbio costituito dai terremoti. La loro ciclicità comporta il
progressivo radicarsi, nelle popolazioni locali, di una sensazione
particolarmente forte e persistente, in base alla quale i terremoti, piuttosto
che sopraggiungere all’improvviso, sono eventi che tornano in continuazione e
quindi da accettare come un’inevitabile fatalità (p. 93)». Relativamente al
nostro territorio, mi permetto di suggerire le relazioni ad Limina anche come
fonti per una storia della sismologia, in particolar modo la relazione scritta
dal vescovo di Alife Giuseppe de Lazara nel 1690, la quale registra i danni
causati in diocesi dal disastroso terremoto del 1688 che devastò Benevento e il
Sannio.
Popolamenti
e spopolamenti
Il quinto capitolo, “Popolamenti
e spopolamenti”, è un’analisi sull’andamento demografico dell’Appennino
centrale tra Medioevo ed Età contemporanea. Si pone in evidenza che «nella fase
espansiva del basso Medioevo, il crollo demografico di metà Trecento, legato al
ciclo delle carestie-epidemie che culmina nella peste nera, non sembra
interessare in maniera forte la dorsale appenninica. Nelle aree montane,
infatti, la peste determina una mortalità più bassa rispetto alle zone
collinari e di pianura, con i loro centri urbani densamente abitati. In altre
parole, accanto alla crescita economica, si registra anche una sostanziale
tenuta della popolazione. Intorno alla metà del XIV secolo, sulla base
dell’imposizione fiscale introdotta dal cardinale Egidio de Albornoz, molti
centri dell’Appennino registrano una tassazione di gran lunga più alta rispetto
a quella degli altri territori dell’Italia pontificia, come conseguenza di un
maggiore carico demografico (p. 111)». Anche
in questo caso, tornano utili le relazioni ad Limina, essendovi riportati per
ogni paese e villaggio i numeri dei fuochi (nuclei famigliari) e delle anime. Segnatamente
all’età contemporanea Ciuffetti analizza i dati dell’emigrazione in Europa ed Oltreoceano.
Pluriattività
e protoindustria
Nel corposo sesto capitolo,
“Economie integrate: mobilità, pluriattività e protoindustria”, si rileva che
«in montagna, il prevalere di una piccola proprietà, incapace di garantire la
sussistenza, spinge i contadini verso modalità di integrazione del reddito che
trovano la loro origine nei continui spostamenti della popolazione lungo i
medesimi sentieri frequentati dai pastori dediti alla transumanza. L’anello di
congiunzione tra questi due ambiti è la pluriattività, in base alla quale, in
determinate fasi dell’anno e in sintonia coi lavori agricoli, i contadini si muovono all’interno di una
scala di mestieri che dalle più semplici economie di raccolta, si estende fino
a comprendere determinati stadi di processi lavorativi (cardatura e tessitura
della lana o di altre fibre tessili), che hanno il loro riferimento negli
opifici della protoindustria. [..] Il mondo della montagna è sempre costituito
da persone capaci di fare qualsiasi cosa, qualsiasi lavoro, nel Medioevo come
in Età contemporanea. (pp. 140-141)».
Usi
civici e beni comuni
Il settimo capitolo, “Un diverso
modo di possedere”, tratta degli usi
civici, «che rappresentano la tipica forma di organizzazione del territorio
collettivo della dorsale appenninica umbro-marchigiana, come unione di tutti i
capifamiglia di un determinato villaggio. Nonostante siano oggetto di continui
attacchi da parte delle città di fondovalle, di grandi possidenti terrieri,
mercanti di campagna e affittuari di pascoli, cioè della progressiva avanzata
di logiche agricole di stampo capitalistico regolate dal mercato e non più da
elementari economie di sussistenza, i beni collettivi e gli usi civici,
espressione di un altro modo di possedere, riescono a resistere nel tempo fino
ad oggi. In questa direzione, le aree intese come beni comuni, dove ancora
funzionano, sono in grado di alimentare un valore storico identitario molto
forte, tale da permettere la conservazione di un legame con il territorio
particolarmente profondo. (p. 179)». Il
concetto di “bene comune”, che oggi riveste un ruolo di particolare interesse,
trae linfa dagli usi civici, a difesa dei quali nel comune di San Gregorio si
spese il sacerdote Don Giacomo Vitale negli anni Venti del secolo scorso. Ciò
sta a dimostrare che il patrimonio naturalistico di cui possiamo ancora fruire
è stato preservato a costo di dure lotte contro la libidine speculativa di
uomini privi di scrupoli. Storia dell’Appennino è, soprattutto e in sintesi,
una somma di più storie, tra cui non può mancare, una lunga disamina sulla
transumanza, tema dell’ottavo capitolo, laddove si rimarca che: «nel corso
dell’Età moderna, fino all’inizio del Novecento, in tutte le zone della dorsale
appenninica dello Stato pontificio e del Granducato di Toscana, il più evidente
e importante fenomeno di mobilità, riconducibile alle forme della pluriattività
rurale tipica di questi luoghi, è quello dell’emigrazione stagionale di
contadini poveri o proprietari di minuscoli appezzamenti di terra. Essi si
dirigono verso le pianure delle maremme e dell’Agro romano, dove si integrano
con ambienti e sistemi economici diversi da quelli della montagna, ma ad essi
complementari. Seguendo i medesimi percorsi della transumanza dei pastori,
questi agricoltori sono pronti a trasformarsi in braccianti pur di integrare il
magro reddito. Si tratta di un fenomeno rilevante. Nel 1767, nella montagna
pistoiese, le migrazioni stagionali arrivano a interessare il 10 % dell’intera
popolazione attiva. (p. 213)».
Contrabbandieri
e briganti
Un titolo accattivante ha il
nono capitolo, “Lungo i cammini. Vetturali, venditori ambulanti,
contrabbandieri e briganti”, ove si afferma che «per certi aspetti anche la
figura del brigante può rientrare nella pluriattività tipica della montagna,
proprio quando si creano delle sovrapposizioni con gruppi di contrabbandieri e
altri personaggi che vivono ai margini della società come i bracconieri. Del
resto, tra Toscana e Romagna, come altrove, tra i cacciatori di frodo molto
spesso si collocano miserabili e contadini, i quali, ancora una volta,
procedono a integrare il loro reddito familiare in questo modo. Dopo l’Unità
sono due i casi di insorgenza brigantesca, il cui ambiente è quello della
dorsale appenninica, che si manifestano nelle Marche. Nella parte meridionale
della regione opera la banda Piccioni, antipiemontese e antiliberale, con punte
di acceso sanfedismo. A differenza di altri territori umbri e marchigiani, in
questo caso gioca un ruolo centrale la vicinanza delle province dell’Italia
meridionale. Nel Pesarese, invece, tra il 1860 e il 1862 agisce la banda
Grossi, la quale è meno politicizzata. Essa è composta in prevalenza da
braccianti e si configura come una semplice associazione a delinquere. (pp.
240-241)». Ciuffetti pone dunque in evidenza come il banditismo sia stato un
fatto endemico negli stati italiani d’antico regime, basti pensare
all’abruzzese Marco Sciarra, famigerato bandito della seconda metà del XVI
secolo.
Mutazione
ambientale
Nel decimo capitolo si affronta
la mutazione ambientale, incipiente e progressiva in assenza di leggi
regolative, tant’è che «per avere una normativa in grado di favorire una
maggiore salvaguardia dei boschi, rendendo possibili i primi interventi di rimboschimento,
bisogna attendere la legge Luzzatti [dal nome di Luigi Luzzatti, presidente del
Consiglio dei ministri] 2 giugno 1910, n°277. (p. 255)». Si tenga presente che grazie
agli strumenti offerti dalla legge Luzzatti è stato possibile implementare il
patrimonio boschivo del Matese, così come di tante altre zone ricadenti
nell’Appennino.
Modernità
in montagna
La modernità, tema del penultimo
capitolo, ha visto tra Umbria e Marche una repentina crescita
dell’industrializzazione; «da un lato si propone un’idea di fabbrica a misura
d’uomo, flessibile, rispettosa delle culture locali e dell’ambiente, legata a
una visione della stessa come una grande famiglia dominata da un capitano
d’industria illuminato, nel caso specifico rappresentato da Aristide Merloni
[..]; dall’altro, e questo è il tratto più significativo in riferimento alle
dinamiche demografiche ed economiche delle aree montane, si evita la
concentrazione industriale, creando degli insediamenti produttivi di piccole e
medie dimensioni, solitamente monoprodotto, vicino ai luoghi di residenza dei
lavoratori. (p. 279)». Si è rivelato un modello di sviluppo vincente,
contribuendo al boom economico italiano del Secondo dopoguerra.
Un
possibile paradigma
Il lavoro di Augusto Ciuffetti, molto
efficacemente, potrebbe servire quale canone interpretativo per affrontare uno
studio ragionato intorno al Matese, nonostante la significativa mancanza di
un’adeguata bibliografia.
Riferimenti
bibliografici e links
- Augusto Ciuffetti, Appennino. Economie, culture e spazi sociali dal Medioevo all'età contemporanea, Roma, Carocci 2019.
- https://emidius.mi.ingv.it/ASMI/study/CFTI2
- http://www.storiadellacampania.it/relazioni-ad-limina-alife-1664-1773-doc-p1
- http://aisoitalia.org/
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